Lunedì, 21 Giugno, 2021
La riforma del terzo settore tra le diverse novità introduce l’obbligo per le cooperative di redigere un bilancio sociale.
BEHONEST ne ha parlato con Emanuele Monaci, vicepresidente nazionale di AGCI Solidarietà, l’associazione che rappresenta le cooperative sociali all’interno del sistema AGCI
La riforma del terzo settore ha introdotto per le cooperative l’obbligo di bilancio sociale: come è percepito dalle cooperative? Formalità o opportunità?
La riforma del terzo settore è molto ampia, tocca una serie di diversi aspetti e si rivolge a enti di differente natura, perché spazia da soggetti che sono a vocazione più commerciale a quelli non commerciali.
Il bilancio sociale è uno di quegli elementi caratterizzanti tutti gli enti del terzo settore. È un documento che valorizza e esplica molti aspetti che non sono propriamente rappresentabili con i numeri del bilancio di esercizio, ma che tendono a mostrare quella che è l’attività di un ente e il suo valore per una comunità.
Tutte le cooperative sociali di tipo B che utilizzano lo strumento dell’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati per svolgere la loro attività, hanno già nel loro DNA i principi propri del bilancio sociale, lo conoscono e lo valorizzano perché appunto lo fanno proprio. Anche cooperative sociali più grandi già da anni hanno ben chiaro il principio e il valore del bilancio sociale per rendere conto alla comunità dell’impatto delle proprie attività, al di là di quello che è il fattore produttivo-economico-occupazionale. Sono invece le cooperative medio-piccole, che a volte fanno fatica a percepire appieno il significato del bilancio sociale e perciò lo vivono in questo momento come un mero adempimento burocratico e un obbligo normativo.
È chiaro che non è questo il vero senso della norma che dispone l’obbligo di redigere il bilancio sociale. Il bilancio sociale è un elemento dinamico. È un percorso che una cooperativa fa per sviluppare ed ampliare la propria conoscenza e il proprio modo di agire, per responsabilizzare gli amministratori, per far partecipare gli stakeholder interni ed esterni e rendere conto alla propria comunità dell’impatto delle sue attività e del valore aggiunto che si crea. Io ho sempre definito il bilancio sociale un’opportunità non solo per quello che riguarda il valore, la rendicontazione e la trasparenza, che sono la risposta a tutti i principi generali che vengono identificati nelle linee guida, ma soprattutto perché pone al centro come elemento valoriale quello che è veramente la restituzione alla comunità, l’aspetto etico-sociale, rispetto a quello economico.
Uno dei punti più interessanti e da un certo punto di vista più difficili è la definizione degli indicatori da considerare nel creare un bilancio sociale…
Prima di tutto bisogna considerare i criteri che vengono individuati per il bilancio sociale: i criteri di trasparenza, completezza, condivisione e coinvolgimento degli stakeholder interni ed esterni presenti nelle linee guida già costituiscono degli indicatori da utilizzare. È chiaro che, da cooperativa a cooperativa, possono esserci sistemi e indicatori diversi per valutare quello che poi è il proprio impatto, anche in merito a chi ci si rivolge. Prendiamo una cooperativa che si occupa di asili nidi: questa può valutare il proprio impatto verso l’amministrazione comunale così come verso le famiglie. In entrambi i casi, valuterà il proprio impatto certamente con indicatori di redemption rispetto all’indice di gradimento o all’affidabilità del personale. Ma ci sono anche indici relativi alla gestione delle attività, che sono molto importanti nella comunicazione alle amministrazioni o nella gestione dei rapporti sindacali. Si tratta di attività che non sono direttamente collegate con quella che è l’attività tipica dell’accudimento dei bambini, ma rappresentano un indice, che io definisco di gradimento, molto considerato dalle amministrazioni, che riveste importanza anche nei confronti della comunità e degli stakeholder interni.
Il bilancio sociale è quindi uno strumento strategico per un ente e può essere utile come strumento di comunicazione. Come è sfruttabile da questo punto di vista?
Il bilancio sociale è uno strumento che era già utilizzato dalle grandi multinazionali che avevano intuito che per essere valorizzate all’interno di un territorio dovevano dotarsi di uno strumento, appunto il bilancio sociale, che comunicasse e valorizzasse l’impatto positivo sulla comunità. Purtroppo, negli anni ho visto bilanci sociali di 300 pagine che venivano letti solo dagli addetti ai lavori e credo che questo non sia utile, perché ovviamente dimensioni eccessive minano la comunicabilità dei valori che il bilancio sociale vuole evidenziare. Ritengo quindi che il bilancio sociale debba essere limitato alla valorizzazione degli elementi chiave che esplichino veramente quella che è l’organizzazione della cooperativa, la rendicontazione, la sua mission, la sua vision e l’impatto sul territorio e sulla comunità.
L’introduzione delle nuove linee guida porta degli oneri aggiuntivi alle cooperative?
Innanzitutto, prima della riforma le cooperative non avevano l’obbligo di redigere un bilancio sociale, ad eccezione di alcune regioni come per esempio l’Emilia-Romagna. Di fatto però si trattava di un bilancio sociale compilativo, racchiuso in uno schema con alcune schede online da compilare sul sito della regione. Quindi la sola introduzione dell’obbligo porta ad un cambiamento. Inoltre, le linee guida indicano dei principi fondamentali da seguire e a cui tutte le cooperative devono attenersi, ma soprattutto il nuovo obbligo comporta un cambio di mentalità. Per questo, è fondamentale che un’associazione come AGCI si occupi di accompagnare e diffondere presso le cooperative la cultura e i valori propri di questo strumento. Deve essere uno scatto, un cambio di passo, un percorso che le cooperative devono intraprendere per implementare la propria comunicazione verso gli stakeholder, assumendo il bilancio sociale come strumento strategico che risponda ai principi fondamentali di trasparenza, completezza e rapporto con gli stakeholder.
Oltre all’obbligo di bilancio sociale, la riforma introduce la figura delle imprese sociali. Come vive il mondo cooperativo questo affiancamento ad altre forme di impresa o associazione?
Questa è una riforma in teoria epocale rispetto a quello che è il terzo settore, perché viene normata e identificata un’organizzazione di tipo economico ma a vocazione etico-sociale. La cooperativa sociale è impresa sociale di diritto, ma ha comunque delle peculiarità rispetto alle imprese sociali in senso stretto: innanzitutto la disciplina di riferimento, dato che per la cooperativa la gerarchia delle fonti normative pone al primo posto la L. 381/1991 e in secondo luogo quella del terzo settore, mentre nell’impresa sociale che non sia una cooperativa sociale la fonte principale è il decreto sull’impresa sociale, in collegamento con il decreto relativo al Terzo Settore e successivamente la normativa generale del codice civile. La cooperativa sociale parte avvantaggiata dato che alcuni aspetti che regolamentano l’impresa sociale sono stati mutuati dalla disciplina delle cooperative, mentre per le imprese sociali non cooperative si tratta di assolute novità.
Ritengo quindi che l’impresa sociale non debba far paura, intanto perché, come detto, la cooperativa ha già nel DNA molti tratti dell’impresa sociale e poi perché apre a molteplici opportunità, si pensi per esempio al crowdfunding. Ad oggi mancano ancora alcuni decreti attuativi, prevalentemente fiscali, che diano effettivamente gambe al sistema, ma io ritengo che grazie alla varietà di cooperative che potenzialmente possono utilizzare tale forma giuridica e alle diverse attività che esse svolgono, possa essere un forte strumento anche di innovazione nel campo del sociale: pensiamo ad esempio a cooperative come quelle di gestione di condomini o di abitazione sociale o ancora di agricoltura sociale. Allo stesso tempo anche le cooperative sociali, che svolgono attività educativa o socio sanitaria, vedono la possibilità di allargare il proprio ambito di azione ad attività che fino a ieri erano di fatto precluse.
Oltre alla necessità di fare cultura e affiancare le cooperative in questo percorso, qual è il ruolo di AGCI in questa trasformazione?
AGCI, come associazione di rappresentanza, si vuole candidare ad essere un naturale punto di riferimento per questo nuovo modello di impresa, fornendo servizi di consulenza a chi voglia costituire una nuova impresa o a chi abbia bisogno di comprendere al meglio quali sono i vantaggi, le potenzialità e le caratteristiche proprie del modello di impresa sociale o del modello dell’impresa cooperativa. Dal punto di vista politico associativo, l’associazione deve essere in grado di cogliere quelle che sono le opportunità per creare servizi utili agevolando lo sviluppo di questo modello di impresa. Dobbiamo quindi spingere e valorizzare il modello e cercare di ottenere i provvedimenti più utili affinché venga utilizzato, al pari del modello cooperativo, da coloro che intendono svolgere una attività di impresa non esclusivamente per finalità economiche.