“La Riforma del Terzo Settore e dell’Impresa Sociale: Quali prospettive per la Cooperazione?”
Il Presidente Begani chiude i lavori del Convegno organizzato lo scorso 22 ottobre a Milano da AGCI Lombardia.
Di seguito il testo del suo intervento:
Buongiorno,
ho il dovere di ringraziare i relatori e permettetemi di rivolgere un grazie sentito all’AGCI Lombardia, che in una sola settimana si è intestata due convegni sostenendo uno sforzo, anche organizzativo, non certo facile.
La nostra Associazione ha imboccato una direzione di marcia volta a qualificarci sempre di più e meglio, conseguendo nuova cultura, professionalità, qualità delle idee, innovazione, oltre ai tanti servizi “pensati” e veicolati alle associate.
Nel nostro percorso di lavoro, l’ascolto del territorio e il sostegno alle nostre cooperative è un punto centrale ed è un impegno che ho assunto e che intendo rispettare fino in fondo.
Siamo e vogliamo essere, come abbiamo ribadito nel corso della nostra Conferenza nazionale di programma del 18 Giugno ultimo scorso, una Associazione in cammino.
Il 25 Settembre abbiamo tenuto a Roma un Convegno sul Terzo Settore e l’incontro di oggi a Milano ci è utile per approfondire una riforma, che non dimentichiamo, è di sistema.
È una legislazione promozionale e sussidiaria nella quale vi è una sorta di “costituzionalizzazione” degli attori operanti nella società civile, che costituiscono una architettura economica, sociale, culturale e morale.
Si tratta di un INSIEME di organizzazioni sia a prevalente vocazione associativa, sia a prevalente vocazione economica, a loro volta distinte in due entità: le cooperative sociali e le altre forme imprenditoriali, cioè le imprese sociali.
Un mondo variegato e, per quanto attiene alle Istituzioni non profit, si tratta per la stragrande maggioranza di imprese di dimensioni piccole e medio-piccole; infatti, la quasi totalità di esse presenta bilanci annuali ben al di sotto della soglia dei 500.000 euro.
Questi dati ci portano ad affermare che il valore sociale aggiunto di questi soggetti non sta principalmente nella loro valenza economica, ma nel loro apporto in termini di capitale sociale, di produzione di beni RELAZIONALI, di incremento del grado di inclusione e coesione sociale.
È una visione del benessere equo e sostenibile che condividiamo, ma che in Europa non è pacifica: ad esempio, per i tedeschi è il PIL la misura chiara e semplice per determinare il beneficio.
C’è dunque chi insegue il consenso puro e semplice dei propri elettori (i recenti esiti elettorali tedeschi però confortano le nostre tesi) e chi invece cerca di avere una visione rispetto al futuro.
Da parte nostra non abbiamo dubbi e siamo tra coloro che vogliono guardare al futuro.
Per noi di AGCI i diritti e le responsabilità non nascono dai singoli, ma hanno un fondamento nella comunità.
Non dimentichiamo che la responsabilità di trovare risposte ai bisogni dei cittadini non nasce dall’alto (dallo Stato, dalla legge) ma origina preliminarmente dalle comunità, dai territori.
L’economia sociale già oggi garantisce un contributo al prodotto interno lordo di circa il 10% e genera milioni di posti di lavoro.
A fronte delle grandi trasformazioni in atto, trasformazioni epocali, l’economia sociale può dare un contributo determinante.
Vi sono fenomeni quali l’aumento della popolazione anziana, con le condizioni di autosufficienza, e purtroppo anche non autosufficienza; la rapida obsolescenza delle competenze che, si calcola, nei prossimi 15 anni cancellerà ben tre milioni di posti di lavoro; altresì, l’esigenza di garantire, a prescindere, una effettiva integrazione degli immigrati; ed ancora, la comparsa di nuove forme di disagio giovanile.
Tutto ciò richiede di accrescere l’offerta di nuovi servizi alla persona e nuove modalità di organizzazione per mantenere e rafforzare la coesione sociale, ma anche di immettere nella nostra azione maggiori dosi di innovazione sociale, sia nei servizi sia nei processi di produzione di beni.
Dobbiamo rivendicare in tutte le sedi la testimonianza attiva, solidaristica e sussidiaria, che le cooperative sociali svolgono sul territorio, in quanto rappresentano quella diversità della quale sono, come sapete, un convinto assertore, rispetto a quelle imprese il cui fine ultimo è solo il profitto.
Le cooperative sociali rappresentano a pieno titolo la biodiversità economica.
È una grave distorsione del pensiero ritenere che una impresa debba essere valutata soltanto sotto il profilo della performance economica-finanziaria quando può produrre anche valore sociale: un valore che è rappresentato dalla cooperazione sociale.
Rafforziamo l’opinione che la salvaguardia dell’economia di mercato debba essere agganciata alla sua vocazione autentica e cioè di essere alleata del bene comune.
Essa deve rappresentare un luogo di socialità, di libertà di espressione delle vocazioni delle persone, e in particolare di quella lavorativa.
Non lambicchiamoci nella ricerca di soluzioni e scorciatoie effimere e inconcludenti; non pensiamo, utopisticamente, di eliminare la finanza e gli stessi mercati.
Dobbiamo invece contribuire ad avere finanza e mercati civili e civilizzanti in grado di creare valore, di creare posti di lavoro, di rispettare l’ambiente.
La felicità non va cercata dopo il lavoro ma anche nel lavoro perché è anche lì che ciascuno deve vivere la sua umanità.
La riforma del terzo settore ci dà l’occasione per far compiere alle cooperative sociali uno scatto in avanti.
La sfida non è rivolta contro qualcuno, ma solo ed unicamente verso noi stessi.
Sarebbe intenzionalmente sbagliato se ritenessimo che la naturale e sana competizione tra gli attori del Terzo settore rivesta il carattere di una contrapposizione, che ci porterebbe a distogliere energie preziose da quello che deve essere il nostro vero obiettivo: l’innovazione sociale.
Dobbiamo essere capaci di trasformare questa sfida in una incentivazione per “guardare al futuro”, ricercando e sviluppando nuovi modelli di Welfare sociale all’interno dei quali sinergico deve essere il rapporto tra imprese sociali e cooperative sociali.
Non dimentichiamo che la cooperazione sociale rappresenta uno dei primi modelli di Impresa sociale nel panorama europeo.
Certamente vi sono aspetti della riforma che necessitano di approfondimenti, chiarimenti: una riforma non può sedimentare, a priori, un ingiustificato germe della diversità, senza consentire ai “diversi” di poter migliorare il proprio modello precludendo, immotivatamente, l’applicazione di codificate normative che, ad esempio, per l’impresa sociale sono state esplicitate.
Penso quindi che si debbano implementare nel mondo della cooperazione principi e regole sulla governance che sono stati attribuiti all’impresa sociale.
Non possiamo accettare che venga istituito per legge un “GAP” di competitività sui valori.
Non chiediamo eguaglianza, ma pari opportunità.
Vogliamo altresì che questa riforma sia una delle tante occasioni per qualificare e tutelare la cooperazione sana e combattere invece efficacemente quel pullulare di cooperative spurie e false cooperative che danneggiano l’immagine della cooperazione, e AGCI rappresenta a pieno titolo la cooperazione con il volto e le mani pulite.
Per questo chiediamo di avere le stesse regole, gli stessi diritti, con la consapevolezza di essere portatori di un modello cooperativo che racchiude valori, principi, eticità, che sono una “esclusiva” del nostro mondo.
Se, da un lato, la riforma ha riconfermato alle cooperative sociali l’operatività in settori quali i servizi sanitari, l’educazione e la formazione, di contro non si comprende perché non debbano rientrarvi, a pieno titolo, anche alcune attività che riguardano ambiti importanti come l’ambiente, la cultura e la salvaguardia del patrimonio artistico.
Sono tematiche che intersecano trasversalmente le attività che la cooperazione svolge attualmente.
Anche per questo dobbiamo sviluppare un importante impegno nelle Istituzioni per far accreditare queste attività, che appartengono pienamente allo spirito e all’azione tipica della cooperazione.
Ma, contestualmente, valorizziamo le opportunità contenute nella riforma: ad esempio, l’art. 55 può essere una grande occasione se sapremo coglierla per primi, in quanto consente di ridisegnare i rapporti con la Pubblica Amministrazione.
Esploriamo per primi questo orizzonte, perché può essere il punto di partenza, il nuovo confronto, che inaugura una nuova stagione di parità nei rapporti con la Pubblica Amministrazione.
Il nuovo paradigma sarà tra conoscenza e innovazione.
Compete quindi alle cooperative sociali promuovere una operazione di sviluppo, di conoscenza e di consapevolezza.
Perché, vedete, il rapporto con la Pubblica Amministrazione non può più essere quello di una cooperazione che funge solo da soggetto gestore in nome e per conto dello Stato, ma deve divenire partner e imprenditore che investe per la valorizzazione della comunità.
Cooperazione come partner e non più come subfornitore.
L’art. 55 della riforma ci indica una strada: la coprogettazione, ed è proprio con questo strumento che dobbiamo cercare di ridefinire il nostro ruolo con la Pubblica Amministrazione incalzandola, affinché quanto delineato dalla riforma abbia attuazione.
È proprio attraverso questi “snodi” che si gioca molto del ruolo che in futuro avrà la cooperazione sociale.
Sul tema dei patti collaborativi, molte dinamiche non si realizzeranno a livello statale, quanto piuttosto a livello territoriale e dunque il cambiamento potrà avvenire non tanto dall’alto verso il basso, ma esattamente nel senso opposto.
Nel corso delle recenti audizioni in Camera e Senato, AGCI ha proposto alcune modifiche al Decreto legislativo 117/2017.
Per l'art. 56 abbiamo chiesto l'estensione del rapporto in convenzione con l'ente pubblico a tutti gli enti del terzo settore e non solo per le organizzazioni di volontariato e le Associazioni di promozione sociale.
Sull'art. 57, che disciplina i servizi di trasporto sanitario in emergenza e urgenza, abbiamo ritenuto che essi non possano essere affidati in via prioritaria alle sole Associazioni di volontariato, ma che debbano essere estesi a tutti gli enti di Terzo settore.
Infine, l'art. 76 , relativo al contributo sull'acquisto di autoambulanze e mezzi di trasporto sanitario: anche qui abbiamo rivendicato che il contributo possa essere riconosciuto a tutti gli enti di Terzo settore, senza discriminazione.
Un altro aspetto che ci sta particolarmente a cuore, come AGCI, riguarda il tema della legalità nell’applicazione della riforma.
Lo diciamo con estrema chiarezza, non accetteremo che le Pubbliche Amministrazioni imbocchino scorciatoie ingiustificate e discrezionali nelle selezioni dei soggetti attuatori.
Leggiamo strani e inquietanti articoli che prefigurano tesi pericolose.
Saremo attenti e vigili e faremo sentire, anche con durezza se necessario, la nostra voce e in particolare eserciteremo la nostra azione ovunque e in qualunque sede per far rispettare la legalità.
La legalità non ha padri e madri diversi a seconda degli attori: è legalità punto e basta.
Sappiamo bene che il “diavolo” si annida nei dettagli.
Molte cooperative sociali, anche in Lombardia, operano nel settore del Trasporto Sanitario, e crediamo che il loro lavoro, insieme a quello di tanti soci lavoratori, vada tutelato e garantito, nel rispetto dei contratti di lavoro, delle regole, della legalità, in una sana collaborazione con il mondo del volontariato.
Per questo, AGCI ha deciso di sostenere chi ha impugnato davanti al Tar Lombardia e al Consiglio di Stato un bando di gara riguardante il trasporto sanitario della ASST Rhodense.
È stato segnato un punto a favore visto che il Consiglio di Stato, dopo il non accoglimento, in primo grado, dell’istanza cautelare, ha in sostanza accolto l’istanza e sollecitato il TAR ad esprimersi nel merito.
Altresì centrale sarà il rapporto che si verrà a creare, nel quadro più ampio della riforma del Terzo settore, tra i soggetti che ne fanno parte e, in particolare, penso al mondo del volontariato.
Il volontariato, sano e rispettoso delle regole, rappresenta una forza e una risorsa importante per il nostro Paese.
La capacità di creare forme di intreccio e complementarietà con esso costituisce una ulteriore sfida, una sfida importante, perché lo Stato ha posto la sua attenzione.
Questo intreccio va perseguito e guidato nel rispetto delle proprie specificità, dell’interesse comune, delle norme e della legalità.
Dobbiamo preparare anche la struttura della nostra Associazione ad essere al passo con la riforma.
Riorganizzeremo radicalmente il Dipartimento del sociale, inserendovi anche le imprese sociali perché sono un modello che appartiene a pieno titolo al mondo della cooperazione e chiederemo al Ministero il riconoscimento, ottenendo la delega per gestire e svolgere le revisioni.
L’impresa sociale è una occasione che non possiamo assolutamente permetterci di sottovalutare in quanto racchiude in sé quei valori tipici del mondo cooperativo, e voi lo sapete bene, che noi siamo i candidati naturali a rappresentare.
Il nostro obiettivo è quello di essere un’Associazione di Cooperative sociali e di imprese sociali.
È molto probabile che il territorio “generi”, post riforma, una molteplicità di soggetti di piccole dimensioni, che dobbiamo saper intercettare, in affiancamento a modelli, quali le cooperative di comunità, su cui abbiamo tenuto la scorsa settimana un Convegno nazionale proprio qui a Milano e nel corso del quale abbiamo testimoniato una nuova cultura associativa orientata a reinvestire sul territorio parte delle risorse che le cooperative ci versano: l’abbiamo concretamente dimostrato, assumendo l’impegno di erogare un contributo a fondo perduto alle costituende cooperative di comunità.
Dobbiamo prepararci e continuare a lavorare in questa direzione ed è per questo che ritengo indispensabile, come vi ho accennato, celebrare entro l’anno il Congresso del nostro Dipartimento del sociale.
Ma l’articolazione di questo settore non potrà più essere solo verticale e verticistica, come se fosse un “Olimpo degli Dei”, ma avrà anche un secondo livello orizzontale con coordinatori sul territorio che opereranno in macro-aree geografiche omogenee (Nord, Sud,Centro e Isole); un livello che permetterà alle cooperative di conoscersi, incontrarsi, ragionare insieme sul territorio, esprimere istanze e bisogni.
Sarà recepito anche statutariamente il decentramento associativo-organizzativo, con valenza interregionale.
Coloro che saranno chiamati a guidare il Dipartimento sociale saranno messi nelle condizioni di poter lavorare, ma per lavorare bene dovranno avere una grande passione, presidiare le Istituzioni, tessere rapporti e relazioni anche nelle Regioni, nel Parlamento, nelle Commissioni.
Non interessa chi saranno, ma cosa faranno, e come lo faranno.
Vedete, ogni giorno si può decidere di inciampare in un sasso o scavalcarlo o spostarlo, il punto è riconoscere cosa fare, se vederlo come ostacolo o come punto di partenza per costruire qualcosa.
Dipende da come ci si approccia al mondo e come vogliamo essere nel mondo.
Prepariamoci bene perché abbiamo fin d’ora un traguardo da conseguire e mi riferisco alla nostra presenza negli Organismi che sono deputati a gestire e decidere l’applicazione della riforma: siamo presenti nel Consiglio del Forum, ma inspiegabilmente assenti nel Consiglio Nazionale del Terzo Settore.
Non mi interessa ricercare le colpevoli ragioni del passato che ci hanno collocato fuori dalla porta, ma vogliamo e dobbiamo capire come potervi rientrare a pieno titolo perché ne abbiamo diritto.
Penso altresì che si debba prefigurare e lavorare intorno a un nuovo modello di Welfare sociale cooperativo.
Un nuovo Welfare personalizzato, tagliato su misura sulle esigenze dei soci e dei lavoratori, diversificato in base alle differenti fasi del loro ciclo di vita e legato al territorio, con il quale sviluppare sinergie e nuove opportunità di lavoro.
Si tratta di “pensare” e costruire un “sistema” volto a creare una catena del valore cooperativo diffuso, e nel quale gli attori sono le cooperative di comunità, le cooperative di utenza, le cooperative sociali, l’Incubatore, le Mutue, le Imprese sociali, gli enti di formazione, la sanità di prossimità.
Siamo chiamati necessariamente a ridisegnare un nuovo modello, anche e non solo, per l’entrata in campo di nuovi soggetti.
Verso questo nuovo Orizzonte ci impegniamo concretamente, organizzando le azioni di supporto, anche finanziarie.
Stiamo infatti cercando di mettere a valore, in una unica cabina di regia, gli strumenti finanziari di cui dispongono le società dove deteniamo partecipazioni qualificate nel capitale, in modo da realizzare una molteplicità di opportunità per il sostegno alle nostre cooperative.
Anche il Protocollo che abbiamo firmato con Unicredit e che riguarderà le cooperative sociali è parte importante di questa strategia.
L’innovazione, la dinamica dell’evoluzione e nella quale essere partner, come ho accennato in precedenza, e coprotagonisti di una trasformazione in atto, epocale, richiede a tutta l’Associazione anche un ripensamento del modello associativo, oggi relegato, verso l’esterno, a una semplice rappresentanza come qualunque indistinto e grigio corpo intermedio.
Ritengo che siamo di fronte all’inizio di un processo che ha la presunzione di sancire la fine delle precarie certezze, aprendo nuove, ma ancora non definite, prospettive.
Credo che il punto centrale del profilo di una “Associazione in cammino”, come la nostra, sia quello di porsi il problema di un nuovo traguardo, superando quel ruolo di semplice rappresentanza come lo abbiamo esercitato fino ad oggi.
Dobbiamo superare il teorema dell’Associazione intesa soltanto come contenitore di associate, per assumere un profilo più pregnante e tale da posizionarci come interlocutrice di garanzia nei confronti del pubblico.
È un ruolo che rivendica una diversa considerazione da parte delle Istituzioni, perché vogliamo che ciò che spesso è attribuito come vantaggio per il mondo della cooperazione, sia percepito e accordato come RESPONSABILITÀ.
È, questo, un profilo che determina il rovesciamento di quel paradigma che fino ad oggi ha sempre distinto il rapporto tra Istituzioni pubbliche ed Associazioni di categoria.
Se il potere legislativo è lento nel suo procedere, se la risposta tarda ad arrivare dall’attività parlamentare, dove giace da troppo tempo la nostra proposta di legge di iniziativa popolare contro le false cooperative, perché non essere noi come Associazioni a interpretare e garantire il confine che separa il legittimo dall’illegittimo?
Perché dunque non incominciare a pensare a “formare il futuro”?
Perché non avviare una riflessione profonda sull’Associazione del domani quale nuova frontiera?
Noi che siamo convinti assertori del pluralismo, e della libera scelta di chiunque di decidere di associarsi o meno, noi che siamo per il valore della diversità, perché non dobbiamo dare alla nostra diversità un significato di garanzia verso tutti e non solo di rappresentanza?
Siamo “toccati” e coinvolti in questo “divenire” come Associazioni oppure siamo, come io credo, necessariamente parte del divenire?
Quale posizione in futuro potrà ricoprire l’Associazione come l’abbiamo vissuta, conosciuta ed esercitata fino ad oggi?
Penso che la nostra diversità, perché assurga a valore forte e distintivo, debba portarci a trasformarci in una Associazione di rappresentanza e di garanzia nei confronti delle Istituzioni pubbliche, verso le quali potremo pretendere uno status e un riconoscimento superiore a quello attuale.
Una Associazione evoluta, che è garanzia di un virtuosismo praticato, praticato dalle cooperative associate sia nell’applicazione e rispetto dei contratti di lavoro, sia per la scrupolosa osservanza delle regole, sia per l’affermazione della piena legalità; ma anche un’Associazione coraggiosa al punto di essere consapevole che l’esercizio delle buone pratiche comporta la cacciata dei “farisei dal Tempio”.
Tutto ciò significa, in sostanza, avere il coraggio di rivedere al nostro interno procedure, metodi di gestione, assumere ed applicare regole stringenti, adottare diversi modelli organizzativi.
Significa rifiutare, al pari di una fastidiosa allergia, di essere collocati in una posizione di retroguardia.
Un’Associazione come la nostra, che ha nel suo DNA il valore dell’agire, che deve e vuole operare nella società tra la gente con un’azione inclusiva, con politiche di coesione e di sussidiarietà, deve pretendere di vedersi riconosciuta la buona diversità che proponiamo.
Non dimentichiamo mai che la tendenza e l’ottenimento del beneficio sono legati all’esercizio continuo.
Ed infine, avviandomi alla conclusione, non vi è dubbio che dobbiamo optare per compiere uno sforzo di rigenerazione, che parte dal diverso ruolo che la Cooperazione deve assumere nei confronti delle Amministrazioni pubbliche, ma anche ripensando al suo compito nei confronti dei soggetti che beneficiano dei suoi servizi, ovvero le comunità.
Un ruolo difficile, una sfida impegnativa, però esaltante e che dobbiamo perseguire e rivendicare.
Solo dalle idee e con la forza delle nuove idee, anticipando gli eventi, leggendo il cambiamento, disegnando nuovi traguardi, proponendoci anche con spregiudicatezza, spostando sempre più in alto l’asticella, obbligando anche i “pachidermi” a un confronto sui temi che noi solleviamo, possiamo evitare di essere comparse sul palcoscenico, rifuggendo da complessi di inferiorità e divenendo interlocutori non eludibili.
Non accettiamo di dare un senso alla nostra esistenza attraverso l’esistenza di altri.
La trasformazione inevitabilmente ci prende, e comunque ci inseguirà se non sapremo governarla: ci troviamo in una grande stagione di sfida.
Diventiamo una avanguardia del cambiamento, valorizziamo la diversità, distinguiamoci rispetto a coloro che, cullandosi nelle glorie del passato, non riconoscono e non avvertono lo stimolo del dare di più, preferendo rimanere nelle retrovie ed esercitando una azione conservatrice che spesso deriva dalla consapevolezza del potere accumulato e ancora esercitato spesso con arroganza!